Racconti brevi

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Il ladro di Marrakech

 

La voce irruppe nell’aria come un vetro infranto. «Scappa, ti hanno visto!»

Khaled non se lo fece ripetere due volte e comincio’ a correre all’impazzata per i vicoli di Marrakech, seguito da due soggetti che sembravano usciti da una fiaba.

La giornata, nonostante il cielo invernale che dispensava ancora un po’ di calore, non era iniziata nel migliore dei modi, e per Khaled l’essere inseguito per un furto era tanto probabile quanto per un topo essere inseguito da un gatto con le peggiori intenzioni. Ecco di cosa era fatta la sua adoloscenza, una corsa continua per mangiare e non farsi prendere. In fondo, in questo non era tanto diverso dagli altri animali che popolavano il souk. Correva all’impazzata tra i banchi di melograno rosso e i mazzi di menta, cercando un nascondiglio che gli potesse dare qualche vantaggio. Appena arrivato alla Porta dei Seminaristi fu bloccato da un’immagine, come se in un attimo i suoi piedi non volessero rispondere piu’ a nessun tipo di comando.

Da una piccola apertura nel legno intarsiato di una porta due occhi verdi lo fissavano, per dirgli che era li’ che doveva entrare. Entrò, e fu in un altro mondo. Gli unici rumori che si sentivano – in contrasto con il fracasso quotidiano del souk – erano quello dell’acqua che scorreva nella fontana centrale del Riad, e la voce della ragazzina che gli diceva «Forse posso aiutarti».

Illustrazione di Benedetta Fiore

Illustrazione di Benedetta Fiore

Lei lo guidò dentro, dove la madre stava mettendo in tavola. E lei lo guardo’, come le madri guardano i figli maschi che tornano a casa.

Era sudato, sporco, pieno di graffi e con i vestiti certo non in migliori condizioni. Lo prese, e come tutte le madri fanno con i maschi che tornano a casa, lo rimise a nuovo. Mentre lo lavava, Khaled pianse. Non sapeva neanche lui perche’. Forse per la paura scampata, forse perche’ Allah voleva concedergli una giornata particolare, la sensazione fu di rinascere. La porta che aveva attraversato lo separava dal mondo esterno come fosse nella pancia di una madre. Guardò le due donne. Occhi identici, che sapevano di amore, di pace, e di nostalgia.

E scappo’. Scappo’ da quello che gli mancava di piu’, ma che non era suo. Il souk lo riaccolse col frastuono solito, con le biciclette che lo sfioravano e i venditori di spezie che urlavano a squarciagola. Arrivo’ al suo nascondiglio. Un posto sicuro, non caldo ne’ avvolgente come quello di pochi attimi prima, ma suo.

E finalmente tiro’ fuori dalla tasca la refurtiva, quella della giornata di un ragazzino a Marrakech.

Una mela. Gialla.

 

 

 

 

Scuola di scrittura Il Cavedio

Scuola di scrittura Il Cavedio

Testo: Gianluca Fiore

Illustrazione: Benedetta Fiore (Benedetta Fiore su facebook a questo link)

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PIZZO

La contessa stava sdraiata sul divano. Aveva appena potuto gustare un ottimo the con deliziosi biscottini che il marchese le donava; il marchese, il suo ospite, persona assai gentile e garbato, ma rozzo nei movimenti e nel parlare. Stretta al collo teneva la propria sciarpina di pizzo, dono di un nobile pirata conosciuto anni addietro. Stese le gambe, il tepore di un raggio di sole ed il cibo appena consumato erano perfetti. Un improvviso rumore la scosse, alla tensione segui subito la calma. Il selvaggio stava ancora facendo caos.

Per motivi a lei sconosciuti il padrone di casa ospitava anche un guerriero straniero, un samurai diceva; poco cambiava, uno zotico privo di classe. Andava in giro tutto il giorno agitando un goffo e volgare stendardo, sempre pronto alla lotta e ,sopra ogni cosa, aveva preso di mira il pizzo della contessa. Il cafone era attratto dall’elegante scialle; più di una volta lei aveva dovuto strapparglielo dalle grinfie onde evitare che lo facesse a pezzi.

Di nuovo rumore, forse un brigante era entrato in casa per tentare di rubare e ora stava subendo l’ira del guerriero. La contessa ebbe un brivido, era nobile si, ma nelle sue vene scorreva sangue piratesco, più di una volta si era scontrata anche lei con delinquenti e manigoldi intenzionati a far male al Marchese. I rumori erano ora quelli di un inseguimento; non poteva resistere, prese con se lo scialle e corse di sopra. Caos, ma niente di più, il Samurai non era da nessuna parte ne tantomeno si vedeva l’invasore. Si mosse con circospezione. Un enorme ombra spuntò da un mobile, veloce a discapito della stazza fu su di  lei e le rubò il pizzo.

Manigoldo di un Toritaka! La contessa inseguì il maleducato coinquilino, veloce ma grosso, lei era minuta, ma più scattante.

Finte, scatti, lui fece l’errore di controllare dove fosse lei e il maltolto tornò alla proprietaria. Toccò a lei scappare, sapeva dove nascondersi, ma la stoffa la impacciava, una curva presa male e fu su di lei. Divennero una massa unica che si agitava e lottava, salti e affondi, finte e fendenti. Qualche attimo e poi si confrontarono. Lui soffio, il grezzone; lei mostro elegantemente la lingua. In un secondo avrebbero scatenato nuovamente la furia; ma la porta si aprì. Il padrone di casa era tornato.

Entrambi i gatti gli corsero in contro gnaulando felici. Lei si premunì di mostrarsi affettuosa più dell’altro, sapendo che quando il padr..il marchese avesse scoperto che per l’ennesima volta la sciarpa di pizzo della moglie era stata dilaniata dai gatti non avrebbe mai incolpato una dama così a modo e delicata.

 

Martino Psykopirata Esposito

Scuola di scrittura Il Cavedio

Martino Psykopirata Esposito - scuola di scrittura Il Cavedio

Martino Psykopirata Esposito – scuola di scrittura Il Cavedio

IL GIALLO FULMINE CELESTE

Toritaka osservava il lento scorrere del giorno. Dalla balconata si stendeva un mare paglierino di piante autunnali. Un samurai come lui poteva solo essere invidiato per la capacità di mostrare una tale calma dopo il violento scontro che era appena avvenuto. La quiete nella sala rifletteva quella nel suo animo. La bandiera era stesa a terra, come a lasciarle riposo. Da tempo ormai Toritaka si era distaccato dalle complicate questioni degli altri samurai. Nemmeno veniva più chiamato dall’Imperatore, cosa che in realtà non gli faceva piacere. Con tutte le volte che la vita del sovrano era stata salvata proprio dalla sua bravura, si sarebbe aspettato almeno una maggiore cortesia.

Si accorse di sospirare malinconico. Il suo nuovo signore, il suo Daimyo, teneva molto a lui. E non aveva torto, Toritaka sapeva di essere il migliore. Purtroppo il compito più comune che gli veniva imposto era di fare la guardia. Davvero uno spreco. Avrebbe dovuto affrontare orde di nemici, inseguirli fino alle porte dei loro castelli e abbatterli lasciandone i resti al sole dorato.

Come era avvenuto per l’invasore. Era entrato nella fortezza silenzioso e veloce, un’ombra nascosta tra le ombre. In contrasto con chi, come Toritaka, combatteva alla luce del sole agitando fiero il proprio dorato stendardo. Il movimento veloce e irregolare dell’infame avversario sarebbe stato una sfida per chiunque avesse cercato anche solo di notarlo, figuriamoci di prenderlo. Ma Toritaka non era chiunque: era il Giallo Fulmine Celeste. Lo scontro fu impetuoso e violento. I movimenti dell’avversario avrebbero fatto sprofondare nel terrore chiunque, ma il combattente rideva innanzi al pericolo. Un gioco di affondi e schivate prosegui per molto tempo, colpi fulminei, talmente veloci da esser quasi invisibili. E dopo un duro e prolungato duello il malvagio fu abbattuto. Toritaka ora attendeva il ritorno del suo signore, e delle sue lodi.

La porta del palazzo si aprì, il padrone entrò con fare maestoso, il samurai gli corse incontro, lo stendardo ondeggiava ad ogni suo passo. Innanzi al corpo esanime del nemico e ai resti della battaglia il Daymio sospirò, per qualche secondo fissò Toritaka per poi carezzargli il capo :”Bravo micio” disse l’uomo, mentre la sua mano passava sulla schiena del fiero felino sino ad arricciargli la coda screziata di giallo. Ronfando felice il gatto valoroso seguì il suo adorato padrone; mentre questi si preparava a servirgli la  lauta ricompensa, Toritaka osservò fiero i resti della lucertola sventolando la coda gialla.

Martino Psykopirata Esposito

Martino Psykopirata Esposito

Martino Psykopirata Esposito – gruppo di scrittura Il Cavedio

Gruppo di scrittura Il Cavedio

IL GIALLO

Sedeva alla scrivania. Il cursore pulsava all’inizio della pagina, regolare come un metronomo, senza che lui premesse un tasto per spingerlo oltre. La testa dolente, un vago ricordo della serata precedente: il poker, un’accusa, la lite, il ritorno a casa a notte fonda, un whiskey per sotterrare le ultime ore sotto una pesante coltre di nebbia. La gioia della vincita, la paura per quel coltello intravisto nella giacca di quel tizio.

Ma ormai era un nuovo giorno, Alfredo aveva il suo lavoro a cui pensare. Una parola dietro l’altra, e l’ispirazione che faticava a venire. Per la prima volta aveva avuto l’incarico di scrivere un giallo a puntate per la rivista cittadina ‘Il Sognatore’, questi gli accordi dall’ultima volta che era stato in redazione. Aveva accettato perché non aveva altro da fare.

Lo schianto improvviso di due macchine sulla strada lo fece sobbalzare. Si affacciò alla finestra. L’aria era tersa e le foglie degli alberi tinteggiate dalla luce del sole. In fondo al viale un’utilitaria aveva tamponato una Renault famigliare. Dalla prima macchina scese un uomo e dalla seconda una signora con due bambini, visibilmente spaventati. La donna li rassicurava come una chioccia. Sotto la sua finestra vide un uomo attraversare la strada di corsa e infilarsi nel portone del palazzo.

Tornò al computer. Un profondo sospiro gli diede la forza per incominciare. Scrisse: ‘La donna’. A quel punto bussarono alla porta. L’inquilina del piano di sopra gli chiedeva se per caso avesse una testa d’aglio. Sorrideva cordiale, ma tradiva imbarazzo. Alfredo andò a controllare in cucina, e trovò qualche spicchio. Li offrì alla donna e lei abbozzò un ringraziamento.

Alfredo ripercorse il corridoio fino alla sua stanza e si rimise al lavoro. Scrisse: ‘bussò’, e rilesse: ‘La donna bussò’. Di nuovo cercò ispirazione. Nel silenzio della sua solitudine percepiva le voci del televisore acceso al piano superiore. La coinquilina cucinava spesso con l’occhio ai programmi televisivi. La voce suadente del presentatore era interrotta dagli applausi. Alfredo ascoltava, preso da un’inerte curiosità.

A un tratto un rumore di passi, sempre più vicino, catturò la sua attenzione.

Sentì un dolore acuto salirgli da dentro, non distingueva da quale parte precisa del corpo. Lo invadeva come il ricordo di aver udito un movimento d’aria e uno sparo sordo alle sue spalle. Si accasciò su se stesso con la testa riversa sulla scrivania.

linda

Linda – Scuola di scrittura Il Cavedio

Linda Barbolini

Scuola di scrittura Il Cavedio 

La prima cena

Allora, vediamo se tutto è pronto. Pasta con le sarde scappate, fatta. L’acqua già bolle. La spigola al sale la metto in forno quando servo l’aperitivo, così la mangiamo calda. Le zucchine alla scapece sono perfette tiepide, nessun problema. In frigo ci sono le cassatine alla siciliana (ricetta segreta di Nonna Rosalia, non hanno mai fallito un colpo). IL Donnafugata è in freezer, già aperto. Continuo a tormentarmi così da piu’ un’ora, facendo la spola tra cucina e finestra della sala da pranzo. E’ tutto pronto. Bicchieri di cristallo, posate d’argento prese in prestito dai miei, portatovaglioli e sottopiatti di legno. Perché sono cosi’ agitato, allora? Perché non arriva, sono due settimane – da quando cioè l’ho convinta a venire a cena da me – che non solo non dormo, ma avrò cambiato il menu una trentina di volte. Poi dicono che la strada del cuore passa per lo stomaco. Quale stomaco? Non penso che a lei. Non ho piu’ fame. Non ho più concentrazione. E la sogno, irrimediabilmente, a occhi aperti. Sogno quello che le potrei dire, di rivederla non appena ci siamo salutati, di come la potrei far ridere ancora, per sentire quella sua risata a testa indietro che squarcia qualsiasi discorso, per vedere quei denti bianchi e quegli occhi che si inumidiscono. Cazzo, comincia pure a nevicare. Cos’è, il citofono? Mi precipito, sì, è al terzo piano!

Il suo odore la precede. Un misto di timo e mughetto, sfacciato, quasi arrogante. Entra, ed è un pugno allo stomaco. Provo a darmi un contegno, ma sono già fuori uso. Mi guarda ed è come se dicesse “Mio”. Beviamo, e non capisco cosa sto dicendo. Provo una sorta di dicotomia. Lei parla, ride, scherza, mi guarda con il suo solito sguardo che mette in disordine mente e stomaco e poi c’è un altro io che parla e la fa ridere. Ma in realtà io, il mio vero io, non ha altra occupazione che guardarla, goderla, immergersi nei suoi occhi. I piatti mi danno una mano, Nonna Rosalia è una garanzia. Mi fai vedere la tua casetta? Certo, vieni, non è un gran che. E in un attimo (ma non stavamo in soggiorno?) ci troviamo sul letto. E lì continuiamo a mangiare, a nutrirci l’uno dell’altra. Io perdo la conoscenza di spazio e tempo. E’ tutta una nebbia indistinta che ruota attorno a questi due occhi magici, che mi parlano di calore, di tramonti, di vino, di corse sulla spiaggia. Le nostre pelli restano attaccate, a lungo, come se l’unica possibilità per sopravvivere fosse quella di unirci il più possibile. Odori, sapori, sguardi, parole, si uniscono. I nostri piedi, freddi, parlano un linguaggio che non conoscevano prima. Si accarezzano, si intrecciano, si conoscono, si capiscono.

E questo l’amore?

Non lo so, l’unica cosa che capisco è che i nostri corpi, le nostre anime si stanno appartenendo. Restiamo incollati così, nel buio, con i battiti dei cuori che rallentano, solo ora. Ed è qui che ho cominciato ad avere paura. Di quello che succederà tra qualche minuto, o di quello che succederà domani.

E’ questo l’amore?

Scuola di scrittura Il Cavedio

Scuola di scrittura Il Cavedio

 

 

Gianluca Fiore

Come diventare uno scrittore

Il piacere di leggere è il filo conduttore dei nostri articoli, e tra gli obiettivi di questo blog c’è quello di indicare titoli che potrebbero sfuggire e che invece i bibliotecari non vogliono vedere andar tra i “non letti”.  Ci si scontra spesso con libri che, seppur scritti con poca cura, ottengono successi portati da accurate mosse pubblicitarie e di marketing, per i quali spesso ci si domanda quale scuola abbia seguito lo scrittore, sempre che ne abbia seguita una, per arrivare a risultati del genere. Diventa così  interessante capire il processo che sta alla base dello scrivere bene, e il modo migliore per farlo è iniziare a seguire gli step di una classe di “scrittori in evoluzione”.

LOGO CAVEDIO

Inizia da qui una collaborazione con la scuola di scrittura il Cavedio, grazie alla quale si è formato un gruppo di scrittori del corto (racconti sotto le 2600 battute) che ci regalerà dei racconti da pubblicare sul nostro blog.

Apprezzeremo così i corti letterari che verranno prodotti e scelti dal gruppo, e magari inizieremo a leggere opere di futuri bestseller.

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Per chi volesse aggregarsi al gruppo, sabato 9 marzo 2013  a Luvinate (Centro Sociale Comunale piazza Don Sironi) ci sarà il primo incontro,  all’interno della programmazione di Insubriarete,   dedicato a tutti coloro che amano scrivere (romanzi , racconti, corti, etc). Per info 0332/288418 e 389/4799048, e nel costo di 50 € è incluso il libro e  l’incontro successivo del 17 marzo.

A breve ci sarà la pubblicazione del primo racconto…diteci la vostra!  

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